Storie toscane di coraggio, d’amore e di morte
Arianna Bienati ha letto per noi
Titolo: Storie toscane di coraggio, d’amore e di morte
Autore: Mario Tobino
Anno pubblicazione della prima edizione: 1980
Casa editrice: Edizioni del Cerro
Genere: Narrativa, racconti su base storica
Titolo dei vari racconti e breve trama:
- Kinzica, la fanciulla che salvò Pisa.
Nella Pisa del Mille le vecchie imposizioni feudali lasciarono spazio ai commerci, che si estendevano nel Mediterraneo e contribuirono alla fioritura della città. La minaccia araba, tuttavia, era ancora ben presente e i Pisani si videro costretti a combattere contro i Mori perché chiamati dal Papa in sua difesa. La città intanto si allargò e la zona al di là dell’Arno venne occupata da saraceni e pisani che commerciavano tra loro. In questa zona viveva Kinzika dei Sismondi, la quale era ammirata segretamente da un arabo. I Pisani vennero richiamati dal Papa che chiese il loro aiuto, essi partirono e lasciarono Pisa sprovvista di uomini atti alla guerra. Musetto, re saraceno di Sardegna, capì che era il momento opportuno per attaccare l’eterna nemica Pisa. Giunti di notte gli arabi iniziarono a depredare la città al di là dell’Arno. Kinzika, in un atto di coraggio, uscì di casa e corse verso il Parlascio. Sulla strada incontrò l’arabo che la corteggiava che, ubriaco, tentò di abusare di lei. La giovane gli buttò il mantello sulla testa e grazie a quest’astuzia riuscì scappare e a raggiungere il Parlascio. Avvisati i consoli, le campane iniziarono a suonare. Gli arabi, per paura del ritorno della flotta pisana, lasciarono la città e presero il mare. Così Kinzica salvò Pisa dalla distruzione.
- Il diavolo a Villa Mansi
Lucida Mansi visse a Lucca nel Seicento ma tutt’ora non smette di suggestionare. Così accadde ad un uomo di Segromigno che venne ricoverato in un manicomio. L’uomo giura di aver visto nuda la bellissima Lucida Mansi, donna ossessionata dalla sua bellezza e giovinezza, gravida di peccati e eterna seduttrice. Lucida visse una giovinezza piena di vanità e di conquiste ma quando scoprì i primi segni della vecchiaia si disperò. Il diavolo le fece visita e in cambio della sua anima le donò ancora trent’anni di giovinezza. Allo scoccare dei trent’anni, il diavolo la portò con sè nelle viscere dell’inferno. Tutt’oggi appare sulle mura di Lucca (…).
- Isabella e Eleonora, le più belle di Firenze, strozzate dai loro mariti.
Isabella figlia di Cosimo de Medici e Eleonora di Toledo era una signora brillante e con svariati interessi. Fu promessa in sposa a undici anni a Paolo Giordano Orsini. Dapprima il matrimonio sembrò felice, in seguito il marito divenne sempre più scellerato e lussurioso. Isabella in quel periodo fece amicizia con la cugina Eleonora, con la quale partecipava a feste. Entrambe non furono fedeli ai mariti, per questo i fiorentini iniziarono a pettegolare sulle vicende di casa Medici. Anche Cosimo corruppe la sua anima di signore e poco dopo morì. Alla morte del Granduca, Francesco prese il potere e, al fine di ripristinare l’onore della famiglia Medici, spinse i mariti delle due donne, l’Orsini e suo fratello Pietro, ad ucciderle. Le due donne vennero assassinate il 14 luglio 1576 e poi sepolte nel silenzio nella chiesa di S. Lorenzo.
Personaggi:
Tre racconti e tre signore toscane, di notevole spessore culturale, emancipate; ognuna però con un destino diverso. La prima fanciulla che incontriamo e Kinzica dei Sismondi dall psicologia fine e esile come la sua corporatura. Solo in lei si poteva innestare il valore della rivalsa che affiora quando qualcosa di proprio, come la città in cui si è nati, viene messa al rogo e ogni sua bellezza viene violata.
Lucida Mansi è invece una donna inconsapevole. Le tristezze che provoca alle mogli e madri degli uomini che seduce e i suoi peccati, sono visti da lei come filtrati attraverso uno specchio. Lo specchio difatti è lo strumento che viene abbinato alla sua personalità suggestiva ma allo stesso tempo vana, alla sua bellezza abbagliante (quando ride è il sole, abbaglia) ma oscura (e i capelli? Folti, nerissimi) come le profondità dell’inferno a cui è destinata.
Le due donne fiorentine Isabella ed Eleonora sono le due facce di una stessa medaglia: l’intelligenza e l’emancipazione portano all’invidia dell’uomo che non riesce ad eguagliarle. La loro morte è necessaria per ristabilire l’ordine che due personalità di spicco mettono in discussione. Rappresentano l’eccesso e l’eccezione alla regola che allo stesso tempo suscita gelosia mascherata da morigeratezza e rigore morale.
Ambientazione:
Le tre storie raffigurano, in periodi diversi, tre città toscane nell’epoca del loro massimo splendore: Pisa durante l’espansione del Mille, Lucca nella sua bria secentesca e Firenze nell’età rinascimentale, durante la signoria dei Medici.
La Toscana è l’altra coordinata fondamentale di questi racconti. Gli spazi esterni ed interni, difatti, hanno la tipica caratteristica delle città toscane in cui lo spazio privato concorre a plasmare lo spazio pubblico. La commistione tra vita pubblica e privata, caratteristica della cultura toscana, tra l’altro è predominante in tutti i racconti.
In “Kinzica la fanciulla che salvò Pisa” lo sguardo dell’arabo penetra nelle stanze di casa Sismondi come se le finestre fossero sempre aperte e ognuno si potesse permettere di affacciarsi nella dimora di qualcun’altro. In seguito Kinzica, timida e esile con una forte introspezione, diventa l’eroina di una città, un ruolo di forte valenza sociale.
La prima parte del secondo racconto “Il diavolo a villa Mansi” si svolge in un manicomio, luogo simbolo per l’autore, il quale si identifica con il narratore, poichè lì lavorò parte della sua vita. Il manicomio è simbolo dei vizi e virtù umani, della corruzione del corpo. Diventa, quindi, luogo chiuso strettamente correlato a villa Mansi, piena di specchi che riflettono l’immagine bellissima, ma corrotta di Lucida.
Firenze si staglia nelle strade cittadine percorse a gran velocità dalle carrozze di Isabella ed Eleonora. La loro fulgida libertà si realizza solo in uno spazio aperto e cosmopolita quale è la città di Firenze, difatti quando sono in città il lettore le sente lontane dal pericolo che aleggia lungo tutto il racconto. La casa, invece, è quasi simbolo di coercizione, di corruzione, di morte. Le trame contro le due donne, infatti, sembra quasi che vengano ordite in luoghi angusti e bui, nel fondo dello studio ombroso dell’invidioso fratello di Isabella. La morte sopraggiunge nelle due dimore di campagna, di notte, nel buio e nel silenzio.
Tematiche:
Il titolo “Storie toscane di coraggio, d’amore e di morte” non tradisce le aspettative del lettore, poiché “storie” definisce il genere a cui il libro appartiene, “toscane” apporta la connotazione geografica ed infine “di coraggio, d’amore e di morte” definisce le tematiche trattate, in ordine di apparizione nel testo.
Il primo racconto narra un atto di coraggio sia interno sia esterno al personaggio. Kinzica, spregiante di ogni pericolo e contro ogni implorazione della madre, agguanta il suo mantello e si precipita per le strade di Pisa in fiamme. Il terrore e il sentore di morte è palpabile, ma lei, contro ogni aspettativa del lettore supera ogni ostacolo (l’arabo, il ponte che divide l’Arno, l’indifferenza degli altri pisani dormienti) e riesce a salvare Pisa dalla distruzione. Altrettanto bello è il processo interiore che giustifica l’atto di coraggio compiuto da Kinzica. La fanciulla è esile, portata all’introspezione, pudica e timida. Quando vede la sua città in pericolo il blocco psicologico di Kinzica che la caratterizzava si scioglie e, nonostante la madre la implori di proteggersi, ella non riesce a trattenere la frenesia di andare e far valere quello che realmente è: una donna coraggiosa.
L’amore, in “Il diavolo a Villa Mansi”, è il motore di tutta la vicenda. Il racconto breve e concitato del giovane malato di eccitamento maniaco è esemplificativo del tipo di amore che aleggia per tutto il racconto. E’ un amore morboso e vaneggiante, come le parole del malato che è completamente perso nella visione di Lucida. Quando il piano temporale di sposta nel Seicento l’amore ammorbato resta nell’aria. Questa volta è rappresentato dalla vanità di Lucida che riflettendosi nei suoi mille specchi denota un amore non tanto per lei stessa quanto per la sua bellezza. Appena giunge la vecchiaia, difatti, Lucida perde ogni amore per se stessa e si ripudia diventando una serpe raggomitolata nell’alcova. Solo il patto con il diavolo può risollevarla dall’autodistruzione, dallo spregio che si fa. Il racconto è costruito in modo da far scaturire una riflessione sulla tematica di come utilizzare l’amore che si è naturalmente portati a donare. Se lo si impegna in cose buone, come un amore sincero e vero, improntato sull’eterno e non sul vano il destino sarà l’opposto di quello di Lucida, che ha impegnato tutto il suo amore verso una vana immagine riflessa in uno specchio.
Ed infine la morte. Topos chiave di tutta la letteratura, la morte chiude il piccolo libro di Mario Tobino in modo originale: trattando il delitto. Quasi delineando una storia criminale, il narratore ci porta all’interno della famiglia Medici, all’interno di studi oscuri e stantii, pieni di trame e di segreti. Tutta la narrazione è improntata su temi macabri, come le condotte immorali dei mariti delle due, la corruzione del padre Cosimo e la vita libertina di Isabella ed Eleonora. Sopra tutto però vi è la affabulazione serpentesca di Francesco che con le sue parole convince i due mariti a compiere il delitto. Le donne vengono divise, portate in residenze appartate e lontano dalla città di Firenze, dopodiché il marito le chiama nella loro stanza e lì commette il delitto. Isabella muore soffocata e il giorno dopo la sua dama ne trova il cadavere. Anche la sepoltura viene velocemente descritta, con enfasi e commozione. Isabella ed Eleonora, così chiacchierate dal popolo fiorentino, muoiono nella più assoluta indifferenza e il lettore non può che immaginarsi un maligno sorriso sulle labbra del mandante della loro morte, che ha raggiunto i suoi scopi e resta impunito.
Commento personale:
Prendendo in mano “Storie toscane” non si hanno grandi aspettative, formato piccolo, poche pagine e spesse. Sfogliando le pagine la scrittura è ordinata ed elegante decorata da illustrazioni in bianco e nero che raffigurano donne belle e tondeggianti.
Leggendolo, invece, si scopre un sistema articolato di temi immortali e universali, come il coraggio, l’amore e la morte. Sono tematiche che coinvolgono ogni essere umano, per questo motivo il lettore si può sempre identificare con i personaggi dei racconti, nonostante questi ultimi siano molto distanti temporalmente.
“Storie toscane” è poi un piacere per chi è affascinato dalla vivace cultura toscana, che non ha paura di mostrare l’uomo così com’è, senza idealizzazioni o maschere. La schiettezza e lo stile diretto caratterizzano difatti questo piccolo libro che si legge in pochissimo e tutto d’un fiato. L’immaginazione si permette di andare più veloce degli occhi e di volare in quel passato mitico, raccontato brevemente ma in modo coinciso e senza sbavature. “Storie toscane di coraggio, d’amore e di morte” si potrà anche perdere nella più vasta e forse più consistente produzione di Tobino, ma sarebbe un peccato, poichè nell’umiltà delle sue quarantacinque pagine questa raccolta esalta tre storie eterne che faranno per sempre parte della memoria collettiva popolare.
Storia editoriale:
Questi racconti furono pubblicati per la prima volta nel 1980 a corredo di tre litografie originali a colori dell’artista Antonio Possenti. La tiratura della cartella, che comprendeva 120 esemplari, più una testa di serie segnata con le ventisei lettere dell’alfabeto e cinquanta esemplari contrassegnati dai numeri romani da I a L, fu esaurita in breve tempo.
Due di questi racconti furono pubblicati nel 1981 su “Il Corriere della Sera”.
Nel 1986, invece, fu dato alle stampe “Zita dei Fiori”, raccolta di venti racconti, contenente la storia di Kinzica e di Isabella ed Eleonora Medici.
Con l’edizione del 1999 della casa editrice “Edizioni del Cerro” ripropone ad un pubblico più vasto i tre racconti originali a corredo delle litografie.