Le libere donne di Magliano
Veronica Saitta, Laura Voltolini, Aurora Tripodi, Viviana Ciccarello, Alice Tascone hanno letto per noi
AUTORE : Mario Tobino
ANNO DI PUBBLICAZIONE DELLA PRIMA EDIZIONE: 1953
CASA EDITRICE : Vallecchi (1953), Arnoldo Mondadori Editore (2001)
GENERE: romanzo autobiografico
TRAMA
Lo psichiatra Mario Tobino lavora nel manicomio di Magliano, un paesino vicino a Lucca, e nella sua professione viene a contatto con coloro che sono stati esclusi dalla società normale perchè ritenuti “pazzi”.
Questo romanzo assume più che altro la forma di un diario, dove vengono presentate e descritte in maniera estremamente suggestiva “le libere donne di Magliano” ovvero le malate di mente, in tutte le loro dimensioni: in preda della loro pazzia e dei loro deliri ma in qualche modo anche della loro normalità.
PERSONAGGI
I personaggi del romanzo “Le libere donne di Magliano”, oltre che dottori ed infermiere, sono soprattutto i malati di mente, i “matti”, in modo particolare quelle che lo scrittore stesso definisce come le “libere donne”, la cui patologia e i cui pensieri vengono raccontati in prima persona ,con gli occhi di Mario Tobino, psichiatra presso il manicomio di Magliano.
Si alternano, nelle pagine di questo diario, diverse figure:
la delirante Berlucchi, colpita da una forte depressione cronica che la conduce a sentirsi colpevole di tutti i mali del mondo, tanto da mettere in atto un disperato gesto per cercare la tanto desiderata morte;
l’agitata signora Maresca che si lascia trasportare da una passione erotica;
la malinconica Cora, timorosa della vita, che mostra l’aspetto più normale e allo stesso tempo più misterioso della follia;
la Lella che attraverso il suo altruismo e il suo folle amore verso il mondo e la natura cerca di sentirsi sempre più libera dalla sua pazzia;
la Sbisà, ossessionata dalla tubercolosi, “sporcata” nell’anima e devastata nel corpo, i cui occhi “lucidi di malinconia e di una sopportazione stranamente brillano di una profonda letizia”;
la giovanissima Belaglia che con la sua dolce bellezza suscita la commozione di tutti.
Questi sono solo alcuni nomi dei malati che sfilano attraverso gli occhi dello scrittore, ma nel romanzo ne vengono descritti molti altri.
Altre figure particolarmente importanti che vengono presentate nel romanzo sono le suore, esse gestiscono il manicomio e ce ne sono di diverse: c’è la coraggiosa suor Giacinta, che si occupa di dar da mangiare alle malate, o suor Maria Concetta, donna bellissima la cui sorella è stata internata in un altro manicomio e che alla fine del romanzo abbandonerà i voti.
AMBIENTAZIONE
Il libro è ambientato al manicomio del colle di Santa Maria, in provincia di Lucca, che però prende il nome dal paese più vicino ad esso ovvero Magliano. Dai alcuni riferimenti temporali si deduce che il romanzo è ambientato nell’Italia degli anni ’50.
TEMATICHE
La tematica principale del romanzo “Le libere donne di Magliano” è la pazzia.
La pazzia viene considerata dallo psichiatra Tobino un “sacro male”, un viaggio all’interno dell’animo umano, caricato di componenti misteriose e affascinanti, che permette di comprendere gi apetti più nascosti della mente e della personalità di ogni individuo.
La finalità principale di questo romanzo, inoltre, è la dimostrazione che i malati psichici sono creature degne di rispetto, tanto quanto coloro che la società etichetta come “sani”.
COMMENTO PERSONALE
“Le libere donne di Magliano” è un racconto che percorre, senza un evidente trama, le storie intrecciate di persone che l’autore descrive con una incredibile dolcezza attraverso una sconcertante realtà.
Nella lettura si provano, involontariamente, i sentimenti più disparati; ci i immedesima, si “respirano” i rumori, gli odori, le voci del manicomio e i “matti”, come li chiama l’autore , è come se si riuscisse a sentirli e a capirli.
Il romanzo ti fa entrare in una dimensione che abitualmente ignoriamo, che abbiamo semrpe pensato di non voler conoscere : la follia. Con sorpresa , infatti, si rimane affascinati dalla tanta umanità che traspare nelle pagine del romanzo, si apre il cuore e ci si interroga sulla moltitudine dei lati oscuri dell’animo umano, aspetti cosi assurdi e inaspettati e si inizia a temere che la pazzia possa impossessarsi di noi, perché, del resto, si comprende che la follia può colpire chiunque.
Percepiamo che ieri, come in fondo anche oggi, “le donne di Magliano” siano creature sole e incomprese, Tobino, invece, mette amore e comprensione in ogni personaggio narrato e li fa apparire sotto una luce vibrante di normalità. Infatti Tobino si è rivelato abilissimo nel trasmettere non solo la condizione fisica delle donne rinchiuse nel manicomio, ma anche nel presentarle come persone normali, raccontando la loro quotidianità attraverso brevi appunti. Anche se inizialmente la lettura può sembrare di difficile comprensione, a causa dell’immediato utilizzo dei nomi delle pazienti senza alcuna presentazione iniziale, procedendo con la lettura ogni cosa si fa più chiara e porta ad una riflessione profonda sul significato della «sanità mentale» in quanto concetto attribuito da persone prigioniere della loro mente a chi non ha questi limiti.
La lettura di questo libro porta a pensieri molto diversi dalle idee che normalmente a causa della società, si hanno. Le “malate” sono persone comuni, ma vivono seguendo leggi proprie che noi “normali” non possiamo capire. Tobino le presenta come “libere”, non le compatisce e non si reputa superiore a loro. Grazie a questo libro si inizia a smettere di considerare la “pazzia” con un’accezione negativa. Un libro ricco di scene forti e personali, scritto da uno psichiatra che stimava le proprie pazienti
LETTURE CRITICHE e MATERIALE DALLA RETE
Riportiamo qui sotto alcune letture critiche riguardanti il romanzo “Le libere donne di Magliano” di Mario Tobino.
<<Scaturito dalla rielaborazione delle cartelle cliniche compilate per anni nel manicomio di Maggiano, “Le libere donne di Magliano” è il romanzo più celebre di Mario Tobino. E nel 1953, anno in cui viene pubblicato da Vallecchi, il romanzo ha l’effetto di un potente detonatore le condizioni in cui erano tenute le degenti presso le strutture psichiatriche. Le stesse che Tobino, direttore della sezione delle agitate, avrebbe progressivamente eliminato, nell’ottica di un ospedale vivibile e aperto, moderno nelle cure e accogliente nel rapporto con le famiglie. Ma nei primi anni cinquanta, a un anno dall’invenzione degli psicofarmaci e dal loro uso nel trattamento delle malattie psichiche, le condizioni di vita dei malati di mente sono ancora drammaticamente arretrate e il racconto di Tobino si fa denuncia, Pietas, deformazione grottesca, sacra rappresentazione, tentativo di raccontare un mondo nel momento esatto in cui sapeva che sarebbe andato a scomparire.
Tobino sviluppa, in brevi capitoletti icastici, una galleria di ritratti dal vero, deformati e grotteschi, iperrealistici e sfumati: dalla Sbisà perseguitata dalla tubercolosi alla Berlucchi omessa da senso di colpa, dalla tragica lussuria della signora Maresca alla Lella che alleva civette e gattini, cani e merli. Storie del “girone di Magliano” che Tobino attraversa e a cui dà voce per esorcizzare il dolore>>
Tratto dalla prefazione Mondadori de “Le libere donne di Magliano” di Paola Italia
<< Il romanzo è un lungo poema che contemporaneamente è espressione della crudele realtà e tentativo di fuga da essa , alla ricerca impossibile del dono privilegiato della divinità. Dirigendosi verso la terra di nessuno, per la prima volta Tobino trova la propria vena poetica navigando nelle acque del fiume Stige, che scorre tra massicce colonne d’argento, attraverso la pazzia degli stessi malati. Tobino dimostra un suo diverso accostamento alla realtà che è concepita come un magma dell’equilibrio instabile, dove l follia è tiranna, apertura verso l’altro, lo specchio di se stessi nello sguardo di un folle. Follia e alienazione sono il luoghi dove gli uomini possono dichiararsi e cogliersi nel segno di uan verità semplice, fragile, verso la pietas stessa dell’esistenza>>
Tratto da “ Il diario di uno psichiatra, narratore e poeta, per dimostrare che anche i “matti” sono splendide creature”, redazione virtuale, www.italialibri.net
<<“Le libere donne di Magliano”, pubblicato nel 1953, nasce dal diario di uno psichiatra, protagonista, voce narrante, ma soprattutto spettatore partecipante della ricca e complessa realtà dell’asilo. Quel Mario Tobino, specialista dei manicomi, che ne ha conosciuto e respirato personalmente l’aria, a tratti opprimente, e descritto fedelmente gli anfratti e le dinamiche. Un universo altro, nel quale le internate danno libero sfogo ai loro deliri e alle più profonde pulsioni, costeggiando senza remore le zone liminari dell’umanità, mentre il personale vive storie di ordinaria affezione e costruisce rapporti solidi e duraturi. Ma quel che emerge nel racconto, dipanato come un sottile e amorevole filo, sono le giornate nell’istituto, ore di condivisione e di pazienza, ore di attesa e di difficile spiegazione, alla ricerca di una diagnosi che si riconosce fallita in partenza. Un crogiolo di individui associati tra le stesse mura, nel placido verde della campagna toscana e a due passi dal baratro inquietante della perdita di sé. Suore, malate e infermiere, tre mondi femminili diversissimi che si incontrano e si fondono, un esercito bianco, compatto e devoto, un insieme di donne che condivide con le pazienti non solo gli spazi professionali, ma la forma stessa della realtà e le “rinchiuse”, testimonianze viventi della fragilità dell’equilibrio. Una condizione non scontata e soprattutto non perenne che porta l’autore ad esprimere una profonda vicinanza con i folli, che spesso hanno l’unica colpa di opporsi alle regole di una “morale sociale” rigida, condivisa e imposta. >>
Scritto da Sara Rania alias Kitsuné, fonte : www.bookblog.it
<<La mia generazione di psicologi-psichiatri non conosce gli istituti manicomiali, se non per averne sentito parlare o per averne letta qualche notizia sui libri o sui manuali che hanno contribuito alla nostra formazione. In Italia i manicomi sono chiusi dalla legge Basaglia, la Legge 180 del 1978: non voglio soffermarmi sulle complesse ripercussioni da essa comportata sulla comunità, tuttavia mi si lasci solo accennare che la legge Basaglia torna ciclicamente ad essere criticata in modo (a dir poco) sconsiderato, tanto più alla luce del livello di inciviltà che abbiamo raggiunto (e pare che in materia non ci sia mai fine al peggio) nell’altro colosso istituzionale di chiusura totale, quale è il carcere e, con esso, l’unico residuo manicomiale ancora aperto: recenti servizi televisivi dimostrano che gli ospedali psichiatrici giudiziari possono essere considerati record di disumanità moderna in Italia sia nell’igiene delle infrastrutture, sia nelle attenzioni riservate agli ospiti, non a caso definiti ancora oggi “internati”. Diciamolo con chiarezza: la chiusura del malato di mente (specie così concepita in termini meramente repressivi e punitivi, oltre che umilanti) risponde (forse) ad un’esigenza della collettività, ma certo non guarisce la persona malata. Ai tempi della Legge Basaglia avevo appena 8 anni, pertanto ero in terza elementare. Ricordo la testimonianza di un genitore di uno dei miei compagni di classe, un fotografo, che veniva in aula a parlarci di tempi di esposizione e messa a fuoco dell’immagine. In occasione di una delle sue visite illustrò alcune fotografie scattate all’interno del manicomio di Firenze, il San Salvi. Non so perchè scelse proprio questa materia così delicata e sensibile, specie per bambini così piccoli quali eravamo noi all’epoca, ma immagino che il suo interesse per il manicomio derivasse dal fervore che in quegli anni nutrì l’opinione pubblica sull’argomento. Ricordo che già in quella tenera età, la prima sensazione in me destata da quelle immagini fosse la curiosità: avrei voluto sapere come veniva scandita la giornata all’interno di quelle mura invalicabili. Desideravo confrontarmi con quelle persone bizzarre, che erano là dentro ospitate. Molto probabilmente quella testimonianza fu il primo mio contatto con la malattia mentale e non so dire se quella circostanza ha in qualche modo contribuito alla successiva scelta di studiare psicologia. A causa della mia età, ricordo solo vagamente il dibattito che in quegli anni accompagnò la legge Basaglia, di cui naturalmente ho letto più a fondo negli anni della mia formazione professionale. “Le Libere donne di Magliano” è un libro che apre una finestra su quei luoghi segreti. La penna di Mario Tobino, psichiatra oltre che scrittore, si rende veicolo di una testimonianza che riesce ad unire la presenza professionale dello scrittore, alla sua preziosa sensibilità umana. Dispongo della seconda edizione del romanzo, la cui prefazione è scritta nel 1964, dove si fa appello ai “sani” di essere più attenti ai “malati di mente” (le virgolette stanno a significare la citazione letterale della definizione dell’autore): Tobino si permette un velato gesto di trasparenza, lasciando intendere quanto sia usurante vivere a contatto con la malattia mentale (oggi si parla di burnout), pertanto chiede già negli anni ’60 maggiori investimenti a favore delle persone colpite dalle turbe psichiche, individuando la necessità di coinvolgere maggiori professionisti medici e infermieri. Nella medesima prefazione si fa cenno all’introduzione dei farmaci avvenuta nel corso dei dieci anni che intercorrono dalla prima edizione: l’autore accoglie con atteggiamento critico l’introduzione dell’apporto farmacologico, perchè se da una parte il farmaco aiuta alcuni ospiti ad uscire dalla follia, da un’altra parte esso rappresenta agli occhi dell’autore un ambivalente ulteriore camicia di forza della psiche umana: siamo sicuri, si chiede Tobino, che mettendo a tacere le urla dei malati mentali, non li rendiamo più tristi? La domanda è tutt’altro che superata: sappiamo quali sono le potenzialità dei farmaci psichiatrici (peraltro oggi anni luce più evoluti dai farmaci di cui disponeva Tobino allora) e sappiamo quali sono le difficoltà di adesione al trattamento farmacologico di molte persone sofferenti (in linguaggio moderno la tematica è definita col termine compliance). Già in quegli anni Tobino riscontra nella figura delle psicologo il possibile strumento di dialogo tra istanze che rischiano di rimanere separate: l’atteggiamento medico-biologico da una parte e la valenza umana ed esistenziale dall’altra, da cui deriva la necessità di un incontro “da uomo a uomo” (a dimostrazione della modernità di tale aproccio, mi si lasci ricordare 1) che Rogers, l’autore capostipite della scuola di psicoterapia che guida il mio metodo terapeutico, usa dire “da persona a persona”; 2) che Martin Buber sottolinea l’importanza di un rapporto dialogico, all’interno del quale l’io si fonde col tu, a formare una relazione che può essere terapeutica solo se veicola un dialogo nel quale chi cura ha una tale considerazione chi è curato da lasciarsi modificare da quest’ultimo). Oggi sappiamo che le due istanze (quella medico-farmacologica e quella psicologico-esistenziale) trovano una giusta collocazione solo all’interno di un sereno dialogo tra professionisti di diversa estrazione formativa: finalmente lo psichiatra e lo psicologo hanno smesso di sentirsi in competizione, consapevoli del contributo specifico che ciascuno dei due può portare in una materia troppo complessa per poterla anche solo immaginare scotomizzata da inutili preconcetti ideologici. Qui c’è a mio parere il valore del libro (un vero e proprio diario dello psichiatra Tobino) qui commentato: non solo il pregio di descrivere la vita interna dell’istituto manicomiale di Lucca, ma anche il valore aggiunto di dar luce alla malattia mentale, con un linguaggio classico nei termini, ma tutto moderno nelle intenzioni, tese a restituire agli ospiti il diritto di provare passioni, idee, motivazioni e bisogni: i malati mentali non sono soggetti alieni alla natura umana, ma persone con vissuti personali degni di rispetto e di fiducia, con le quali è necessario dialogare. Consiglio la lettura a tutti, ma soprattutto la consiglio agli psicologi e agli psichiatri in formazione, per maturare una professione che ha bisogno della capacità di incontrare le persone, prima ancora che di tecniche, più o meno sofisticate che siano. >>
Scritto da Mario Ruocco; fonte: www.lettureriflessioni.blogspot.it