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WAIMANGU- RAWA PUIA UN VIAGGIO NEL TEMPO

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La macchina del tempo ci riporta nel Giurassico quando la Pangea si divise formando a nord la Laurasia e a sud la Terra di Gondwana. Ci troviamo esattamente in uno dei frammenti di questo supercontinente meridionale o di ciò che ne resta.

Sembra incredibile ma le ultime manifestazioni vulcaniche dell’area risalgono al 1886 in seguito alla catastrofica eruzione del Monte Tarawera che ha generato la più grande sorgente termale del mondo e ha ricreato la geomorfologia giurassica dell’intera valle.

Il nome Waimangu significa letteralmente dalle acque nere e fa riferimento alle eruzioni di fango e acqua scura nel geyser attivo nelle prime fasi dell’eruzione.

La valle nacque probabilmente dall’unghia della vecchia Mahiuke, la terribile dea del fuoco, da cui scaturirono scintille, fiamme vorticose, magma, ceneri e lapilli.

Te atua o Te ahi

ka haea e ia he matikuku

Te mura, Te pungarehu me Te lapilli

Qui inizia il nostro viaggio nel tempo trasportati dalla saggezza Maori che oramai circola come linfa vitale nei nostri cuori e menti. Percorriamo il sentiero che si snoda lungo il crinale di crateri che in successione modificano gli scorci visivi. Sbigottiti ne ammiriamo le peculiarità geomorfologiche e paesaggistiche. I colori si fanno accesi e vivi, l’area profuma di fuoco. I nostri sguardi furtivi ricercano strane creature demoniache che dal terreno, dai pertugi fumanti, pensiamo possano fuoriuscire all’improvviso per risvegliare il sonno di Mahiuke. La successione di bocche eruttive, dal Cratere lacustre meridionale all’Echo Crater e Inferno Crater trasmuta il paesaggio in forme e colori, dall’amaro Gingerbread al celeste e ciano. Le acque mutano le loro sembianze in base al grado di acidità che vira sempre più verso indici proibitivi alla vita .

Strani aliti, Nebbie di Avalon, si liberano dalle superfici lacustri e salendo, contorcendosi, creano paesaggi mutevoli e magiche atmosfere.

Ci avviciniamo al cratere, l’acqua lentica ribolle, salta, si lancia in pittoreschi getti danzanti liberando il prezioso contenuto in Sali. Il silenzio risuona di potenza creativa… di natura.

Ci addentriamo nella foresta giurassica costituita da Chyatea dealbata la più alta felce arborea esistente. Rimaniamo attoniti di fronte ai tronchi che si alzano sinuosi dal terreno e le fronde, dalle tonalità verdi e bianco argentate che ricoprono come ombrelli il suolo sottostante lasciandosi oltrepassare, a tratti, dai fugaci e timidi raggi luminosi. 

La foresta variegata mostra esemplari di Dickosonia fibrosa dai tronchi spessi e robusti ricoperti da fibrose radici che vicino alla più alta e slanciata dirimpettaia cerca di seguirne gli esempi.

Tra le due felci alboree si erge maestosa Agathis australis i cui esemplari più vecchi mostrano una chioma tondeggiate su un tronco alto e possente privo di estroflessioni lignee alla base. Tutto ciò per impedire l’attacco di piante epifite parassite.

Cogliamo in questi e altri stratagemmi l’atto creativo della natura.

Esploriamo la foresta come i giovani marinai del Capitano Cook meravigliati per la bellezza ed eterogeneità delle specie arboree. Nel sottobosco piccole altre specie di felci dispiegano le giovani foglie arrotolate a spirale e ci narrano di Koru, termine Maori che indica l’avvolgimento centripeto dei verticilli fogliari e simboleggia la nuova vita, la proattività e la pace. Il sottobosco cambia continuamente i muschi e licheni si alternano a ciuffi di carice in prossimità delle conche lacustri. Sui rami e nascosti dai verdi primavera, lime e oliva, varietà di volatili a noi sconosciuti ci accolgono con cinguettii inusuali.

Il grassottello Kapapo verde mimetico, una specie di pappagallo eletto come il più bello tra i volatili neozelandesi, e  Rhipidura fuliginosa dal fiocco bianco e nero chiamato dai locali Fantail alternano i loro canti.

La foresta ci avvolge con le sue fronde e i suoi misteri.

Ci muoviamo lentamente nel sottobosco, speranzosi di incontrare il più famoso  Kiwi, uccello privo di ali, simbolo della Nuova Zelanda o, come dice un membro della compagnia tolkeniana, guardinghi, per non imbatterci in qualche strana creatura come il Tuatura unico fossile vivente appartenente alla famiglia dei rincocefali. Né il timido ApteryxSphenodont punctatus si mostrano ai nostri occhi. Probabilmente qualche esemplare spaventato e/o incuriosito da queste nuove forme di vita girovaganti per la foresta ci osserva di sottecchi. 

Sentiamo il richiamo dell’acqua… ne percepiamo i suoni, i lamenti e i crepitii.

Un ruscello ricco di risorgive, piccolo emissario dell’ultimo lago incontrato, scorre lentamente verso una più grande conca lacustre.  Terrazze generate dalla deposizione di sali trasportati dalle prolifiche acque termali alternano colorazioni minerali vivaci ad intense sfumature di verdi definite da batteri termofili, muschi e alghe acidofile resistenti alle condizioni proibitive ai più. Da piccoli geysers la terra continua a borbottare, ci narra di epoche che furono, di eroi Maori e dei miti legati alla genesi e alle acque: 

in principio c’era Te kore, il vuoto, seguito dalla Notte Te Poroa.

Le due divinità creatrici generarono la Madre Terra – Papatuanuku e il Padre Cielo- Ranginui. 

Madre e Padre erano avvolti in un tenero e lungo abbraccio. 

Dal loro amore nacquero i figli , rappresentanti le varie forze ed entità della Natura.

Ma come in ogni buona famiglia, il temperamento e la vivacità dei piccoli interruppero l’abbraccio della madre e del padre generando mari, foreste,  terre emerse e vulcani, entità viventi e inanimate.

Il richiamo dell’acqua e il profumo di fuoco ci riportano alla realtà e seguendo il corso del piccolo fiume, oltrepassata la foresta giurassica, raggiungiamo il grande lago Rotamahana con la consapevolezza che la natura abbia ancora tanti misteri da svelare…