Navigazione veloce
> Non Dimentichiamo Tobino: L’IPERTESTO > L’Asso di Picche * Veleno e amore secondo

L’Asso di Picche * Veleno e amore secondo

Iris Ferrazzo ha letto per noi

 L'asso di picche L'asso di picche e Veleno e amore secondo 

Titolo: L’asso di picche * Veleno e amore secondo

 Autore: Mario Tobino

 Anno pubblicazione della prima edizione

“L’asso di picche * Veleno e amore secondo” fu pubblicato per la prima volta nel 1974.

Esso si propone come raccolta delle opere poetiche precedenti dell’autore e comprende: “Poesie”, Bergamo, Cronache, 1934, “Amicizia”, Bologna, Tipografia Vighi & Rizzoli, 1939, “’44-‘48”, Milano, Edizioni della Meridiana 1949, “Veleno e amore”, Firenze, Edizioni di Rivoluzione, 1942 e “L’asso di picche”, Firenze, Vallecchi, 1995.

 Casa editrice: Mondadori

 Genere: lirico, epigrammatico

 Ambientazione spaziale e temporale

In molte poesie della raccolta l’autore cita espressamente luoghi cardine della sua vita: il “casino di Bologna”, la “bella Roma”, paesi stranieri e lontani come l’Olanda, Lucca e soprattutto, la città natale Viareggio.
Viareggio, città di mare che si specchia nella vicina Lucca, è spesso relazionata al tema del ricordo nella mente di Tobino. Le descrizioni naturalistiche tanto decantate e riprese in più liriche sembrano interessarla per la maggior parte, tanto da conferirle un clima sereno, gentilizio e mercantile. Viareggio è città alla quale tornare e una casa sempre aperta all’ospitalità, ma contemporaneamente il luogo in cui non si riconosce più il passeggiare della madre, dove non sentirsi mai completamente accettati.
Spesso, infatti, l’io poetico rappresentante l’autore si interroga e si domanda se mai verrà ricordato con benevolenza dopo la morte.
Nel ciclo di poesie ambientate nella città natale Tobino si mostra, inoltre, nel suo intento di rappresentante della parte più umile della popolazione italiana, quella marinara.
L’”ocra dei palazzi” che “risponde al sole che se ne va” nella “bella Roma”, invece, stride nell’animo di Tobino rispetto ai “romani viventi…grossi di parole, si muovono da facchini, un’orda di bisonti” e alle romane con “mammelle pesanti” e “occhi cisposi di rimmel”. Grazie alla letteratura ed alla composizione poetica, però, Tobino riesce ad ammettere: “e sarò felice anche a Roma”.
Per quanto riguarda, invece, l’indicazione temporale, le poesie della raccolta sono tutte ben suddivise esplicitamente in sezioni scandite e legate al periodo di composizione.
La prima di esse è relativa al ciclo 1930-’35 e l’ultima a quello 1954 ed il 1973; considerando la cronologia globale delle opere, si può notare come esse interessino la maggior parte della vita dell’autore.
“L’asso di picche, Veleno e amore secondo” è, infatti, la raccolta complessiva delle opere poetiche di Tobino, contenente anche testi inediti.

 Tematiche

L’asso di picche” unito in un solo volume a “Veleno e amore” e a tutte le opere poetiche dell’autore dà vita ad una raccolta (“L’asso di picche * Veleno e amore secondo”) attraverso cui esprimere la propria, spesso controversa, concezione di mondo e di vita, mostrando le contraddizioni di un uomo per il quale il componimento poetico funge da compagnia e da occasione per comprendersi.
La lirica accompagna l’uomo Mario Tobino al di là del suo essere scrittore e dottore psichiatrico, nelle sue gioie e nel suo dolore quotidiano, durante periodi come la giovinezza, il servizio militare, il rimpatrio in Italia, fino all’invecchiamento.
Le poesie, suddivise secondo il periodo di componimento, costituiscono delle unità tematiche, ordinate al fine di conferire al lettore uno spunto di contatto più intimo con l’autore. La cronologia rende tangibile il cambiamento, in contrasto con le costanti dell’opera e della vita di Tobino.
È fondamentale sottolineare che, infatti, la prima lirica sia “L’alba”, il primo momento del giorno, simbolo dell’inizio di un cammino che il lettore compie accompagnando l’autore, attraverso l’io lirico, nel suo presente; con l’avanzare delle poesie e degli anni di componimento il presente dell’autore muta diventando a poco a poco il suo passato.
La scena si apre con elogi all’infanzia ed alla giovinezza, associate alla primavera, come unici periodi in cui essere davvero felici grazie all’ingenuità.
Le prime poesie dell’opera sono accomunate da sentimenti positivi, che si rispecchiano in una citazione e descrizione frequente ed accurata della natura circostante. Essa funge da spazio dell’anima dell’autore, in comunione con lui, e sembra partecipe delle sue avventure quasi a divenire la protagonista, tanto quanto l’uomo.
La natura si mostra nella sua lucentezza, metafora della spiritualità tanto ribadita da Tobino sotto forma di invocazioni al Signore, nel suo silenzio che, come in “Immacolata sera” conferisce  tenerezza e pace che sembrano sanare l’irrequietezza dell’animo del poeta. Già dai primi testi si evince, infatti, un’inquietudine di base dell’autore che sospira tra sé “Oh! Io non posso aver la pace” quando, invece, afferma di trovarla nella contemplazione naturale.
L’opera è intessuta da una serie di contraddizioni, nulla è fermo, tutto muta come anche i sentimenti e le opinioni di Tobino.
La coppia antitetica amore-veleno trova il corrispettivo nell’opera in vita-morte ed è la più ricorrente e più ricca semanticamente. Essa viene espressa sin dall’inizio, porzione di opera che potrebbe sembrare leggera, per poi ritrovarsi anche nella pesantezza della consapevolezza di sé e della conoscenza che caratterizzano il finale dell’opera. È elemento ricorrente, che concorre a donare per quanto possibile unitarietà al testo.
Tobino è amante di quell’”amore” che è presente già nel titolo e del quale egli stesso si vanta, della “speranza”, “di questi sogni, questo luminare di idee, questo leggiadro e lento desiderio di donne, questo riafferrare continuamente l’armonia” e, soprattutto di “questo disperato abbracciare di vita” che non può in nessun modo, però, essere considerata senza la sua amica-nemica: la morte.
Su 141 liriche presenti nell’opera compaiono 41 volte parole come “morte”, “morire”, “morta” e sono più di una sessantina i termini inerenti al campo semantico dell’”uccidere”, come, ad esempio, “tomba”.
La morte per l’autore è positiva per sfuggire ai malesseri della vita, soprattutto quelli durante e dopo la guerra (“Se fossi rimasto, come altri soldati, nel deserto, quando chi moriva era un fiore che nasceva” in “Se, come altri soldati”) e a causa del pensiero, affinché “nessuna tirannia mi farà dolorosamente riflettere”. Una “morte bella come la vita” subito contrastata dal dolore lacerante di una morte effettiva, non idealizzata: quella di sua madre. La morte si veste, così, di toni cupi, è maligna, ingiusta a trarre con sé una donna così “santa” che continua, però, a vivere all’interno del cuore e dell’anima del poeta. La mancanza e lo sconforto cercano di essere placati con la speranza che almeno il morto, lasciando questa misera vita, possa raggiungere la pace.
La morte è, però, inarrestabile e con la sua falce verrà a prendere lo stesso Tobino.
Da questo nucleo tematico si sviluppano spunti di riflessioni e inerenti sentimenti negativi dell’autore, come la nostalgia, appagabile solo temporaneamente con l’alcol, la malinconia della “memoria” e del ricordo doloroso, la solitudine sofferta ma al contempo necessaria per l’esercizio poetico, la svalutazione di sé ed un senso di insicurezza che porta il poeta a dubitare del mondo e perfino di Dio. Insicurezza che può essere vinta solo grazie alla spinta motrice della fantasia sotto forma di poesia e letteratura.
Tobino richiama spesso il tema poetico, tanto da istituire punti di meta-lirica.
L’ affidamento dell’autore nei confronti della poesia è positivo; essa è considerata come l’unica non soggetta all’incombere della morte, rappresentazione della realtà e dell’io del poeta.
Tobino conferisce, però d’altro canto, un giudizio piuttosto negativo rispetto la lirica anacreontica, che si caratterizza per temi frivoli e troppo leggeri. Essa muore a confronto di quella impegnata, di cui Tobino è portavoce.
All’interno dell’opera egli delinea anche un’ideologia politica ben chiara, improntata sui suoi ideali anti dittatoriali. Presente è un uomo criticato per essersi schierato con i fascisti solo per convenienza,  il nome di Mussolini che “dondolò ammazzato tra le feste di tutti”, quello dei tedeschi che ridono mentre giustiziano un uomo e quello di Hitler e di Stalin. “Ci voleva lui per combattere Hitler. Quando il pipistrello sul mondo mosse le ali si alzò la sua colomba anche se aveva le penne intrise del sangue del parto”.
Ferite, sangue e guerra sono, infine, temi principali della serie di poesie centrali all’opera, basate sull’esperienza di Tobino in Libia durante la Seconda guerra mondiale.
La guerra per Tobino è direttamente associata al “deserto”, termine ricorrente.
Deserto esteriore dell’ambientazione geografica e deserto interiore dell’uomo che vi partecipa. Se in un primo momento il soldato può essere spinto da “patriottismo” e da ideali di rivoluzione deve, però, presto ricredersi a causa della devastazione psicofisico a cui è condotto. La guerra deteriora l’animo e l’intelligenza umani, conducendo l’uomo in uno stato di abbandono totale, sublimemente esplicato in “Se, come altri soldati”. Tobino in guerra si ritrova pellegrino, un secondo Odisseo che brama il ritorno in patria sentendo, però, lentamente venir meno la forza di reazione.

 Commento personale

“L’asso di picche, veleno e amore secondo” sembrerebbe una consueta raccolta di poesie, perché sforzarsi di analizzarla?
La raccolta di poesie potrebbe in un primo momento superficialmente confondere e depistare il lettore, senza conferire un giusto peso all’opera.
La forma lirica è, inoltre, quella dell’epigramma, breve componimento in versi che tratta solitamente temi satirici, incisivi e pungenti, la quale brevità potrebbe essere fraintesa come assenza di alti fini esplicativi. Nulla di più falso e superficiale.
Proprio grazie agli epigrammi Tobino riesce ad esprimere quanto ogni componimento poetico gli appartenga profondamente come espressione non solo di un’ideologia ma anche e soprattutto di una vita e di un carattere. Del “Mario Tobino” che ben due volte compare esplicitamente nella raccolta; non del rinomato medico psichiatra reduce di guerra, del Mario in tutta la sua semplice ed al contempo complessa umanità. Un uomo che trova nella poesia e nella letteratura un modo per non perdere la speranza nemmeno difronte alla morte che sembra, ogni giorno, farsi più incombente.
La forma epigrammatica riassume, inoltre, la posizione dell’autore come interprete del fondo popolare della società e, di conseguenza, di una poesia che nasca da un bisogno autentico “di espressione gagliarda, sanguigna, motteggiatrice”, come definita nell’intestazione  dell’edizione Mondadori, e dei moti della sua anima.
Componimento dopo componimento Mario Tobino si mostra al lettore in tutta la sua personalità svelandosi a poco a poco attraverso proprio la scrittura come mezzo per potersi aiutare nell’affronto delle difficoltà e nella comprensione profonda di sé.
“Sono nella mia storia”, “piango amo odio”. La consapevolezza di Tobino d’essere uomo del suo tempo, variegato d’emozioni, ma conscio del proprio percorso in cui “più di metà è la vita” è tangibile in testi come “Sono nella mia storia”. L’autore conosce i suoi pregi, l’essere “bello” e caratterizzato da “un’avida attenzione”, ma anche i suoi difetti come l’essere “triste, pazzo”, “fiero”, “cupo”,  e sempre “solo”; “Strana poesia” funge come da analisi personale sintesi di un lavoro su se stesso.
Spesso nella raccolta compare un linguaggio scurrile, egli stesso si definisce “vecchio puttaniere”, ciò sorprende ma conferisce un tono confidenziale.
Tutto proteso alla speranza di essere ricordato. “Mario Tobino io sono, pazzo, sicuro, tranquillo, con terrore continuo di sé, della vita”.
È così che le 141 poesie della raccolta si animano prendendo il lettore per mano ed invitandolo a passeggiare con l’io poetico, rappresentazione dell’autore, nell’atmosfera delle sere scandite da canti gioiosi, ad assaporare l’ingenuità della giovinezza e la rinascita primaverile, a comprendere il “deserto” esteriore ed interiore a cui il soldato è condotto in guerra, a sperimentare indirettamente la rabbia repressa di una dittatura nazi-fascista, a condividere il dolore disperato della morte e a conoscere a poco a poco l’estremamente fragile e complesso  interiormente Mario Tobino.

 Letture critiche

Il Tobino poeta di “L’asso di Picche – Veleno e amore secondo” è stato poco studiato, perché forse considerato meno rilevante rispetto alla sua veste di narratore prosastico.
Letterati ed intellettuali si sono, però, espressi maggiormente, invece, sulle singole raccolte poetiche come vere e proprie unità distaccate.
Massimo Grillini  definisce “Poesie”, la prima esperienza di Tobino con il componimento in versi, non tanto come esercizio letterario, nonostante l’autore ne necessitasse, ma come una “precisa scelta di posizione sul versante molto impegnativo, in poesia, della realtà”, dando vita ad un “andamento prosastico”. Era il “rifiuto e insieme l’accettazione del gioco letterario” per non volersi piegare alle mode letterarie ma perseguire comunque una ricerca propria.
In “Poesie” si denota ancora acerbità nella “discontinuità degli esiti”, una disorganizzazione dei temi, forse un po’ troppo incentrati sui modelli latini quali Orazio, ma si percepisce nell’ideologia dell’autore la speranza della vita sempre accoppiata, però, al dolore.
“Amicizia”, invece, appare, anche alla critica di Giuseppe Raimondi, la sintesi della nuova “generazione neoplatonica”, protesa più all’agire rispetto al pensare. In questa serie di componimenti traspaiono la “bontà” dell’autore e l’importanza della “solidarietà umana” basata su di una forte “fiducia negli altri”; due componenti che darebbero vita alla poesia.
Con “Amicizia” si trasla un’interiezione legata all’invocazione divina ad una fiducia nell’uomo “arbitro del proprio destino”, che la soppianta, e ad una “concezione operante della poesia” per captare “la stortura da raddrizzare” e conferire il motivo ed il mezzo per superare le offese della vita.
È la pregnanza di sentimenti come sofferenza, delusione e nostalgia a caratterizzare, invece, “Veleno e amore” per Grillandi. In esso si percepisce una “frattura fra una realtà fattuale candidamente esposta e il risvolto soprasensibile di essa”, tutto contornato da “ notazioni autobiografiche e dal tema della guerra, “con i suoi lutti, i suoi errori, con le rovine non riscattate da nessuna grandezza”.
L’opera è un “giornale di bordo di una storia personale incisivamente sofferta, troppo vera” e sempre oscillante tra l’amore degli affetti che sussiste ancora nel ricordo di essi, anche se raggiungendo un apice di castità, e il veleno che prevale soprattutto nella sezione elegiaca dedicata alla “santa” madre morta.

 LETTURA DELLE POESIE DI TOBINO

http://www.fondazionemariotobino.it/content.php?p=8.3